IL CALCIO DEI PIONIERI
«Il foot-ball va guadagnando le simpatie generali. E si capisce: è uno dei giochi più semplici e allo stesso tempo più complicati e divertenti: vi si misurano la forza, l'agilità, l'accortezza e la veemenza. Ed è anche il più popolare: non ha bisogno che di una palla, e di buone gambe». Così scriveva, nel 1911, il Corriere della Sera, che si era accorto per tempo della crescita di popolarità in Italia di questo nuovo sport, tanto da dedicarvi, sin dal 1909, una pagina intera, ogni lunedì. Nato tra le classi più agiate, ma presto diventato fenomeno di massa, il calcio conquistò velocemente fama e spettatori, partendo dal Nord fino a «invadere» tutta l'Italia (qui largo spazio viene dato alla crescita del calcio in Sardegna, dove pure la Federazione con le sue regole arrivò con grande ritardo). In questo libro vengono ricostruiti - con l'attenzione dello studioso e l'entusiasmo dell'appassionato - i primi anni del nostro sport più popolare, cercando di capire i motivi di un successo tanto clamoroso. Dal primo campionato, nel 1898, disputato fra tre squadre di Torino e una di Genova, al celebre «quadrilatero» Genova-Milano-Torino- Vercelli, fino allo scoppio della Grande Guerra, dalle maglie bianche della Pro Vercelli a quelle - bianche anch'esse, poi diventate azzurre - della nostra nazionale. Risultati, personaggi, aneddoti, i resoconti dei giornali dell'epoca; il romanzo di uno sport e di un'Italia che volevano crescere in fretta.
Massimo Grilli
Rassegna stampa presentazione Reggio Emilia 19 aprile 2012
Guerin Sportivo n. 5
maggio 2012
maggio 2012
Il Corner di Nicola Negro
Il Football dei Pionieri viene presentato nella puntata andata in onda su LA13 canale 192 del digitale terrestre lunedì 24 settembre 2012
Lo streaming della puntata è visibile qui
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NELLO SCAFFALE
L'unico blog di letteratura sportiva
http://nelloscaffale.blogspot.cz/
Concepito come raccoglitore di informazioni e curiosità dei primi 20 anni di calcio in Italia, “Il Football dei pionieri” (Bradipolibri Editore) per la prima volta in maniera completa e sistematica analizza e racconta la nascita e l'affermarsi del gioco del calcio nel nostro Paese, ricostruendo le vicende che hanno portato alla creazione del campionato di calcio e le partite che ne hanno caratterizzato lo svolgimento sino alla prima guerra mondiale.
Data la pressoché totale mancanza di fonti documentali, si è dato ampio spazio alla voce dei giornali dell'epoca, che sin da subito si sono mostrati interessati al nuovo gioco. Tutte le vicende pertanto sono state narrate anche e soprattutto con l'ausilio di numerosi stralci di pagine dei giornali, in modo tale da (ri)dare voce a quei giornalisti che, oltre a giocatori e dirigenti, hanno aiutato questo gioco ad affermarsi come il più popolare e amato.
Come in un viaggio avvincente alla scoperta delle nostre radici, il volume spazia dalla nascita delle squadre più importanti dell'epoca alle prime partite giocate, passando attraverso la nascita della Federazione, del campionato e della Nazionale. C'è inoltre spazio anche per l'esperienza calcistica in Sardegna, dove il football della Federazione non arrivò ma dove ugualmente l'amore di dirigenti e pubblico fece nascere e progredire il gioco.
Ancora, trovano ampio spazio le prime polemiche, i primi scandali legati al mondo del professionismo e le prime violenze dei tifosi, perchè, sin da subito, il football è stato elemento aggregante e disgregante e, tolta l'Inghilterra, in nessun altro paese europeo la sua ascesa come fenomeno sociale è stata così repentina come in Italia
Gol-pertina vuole essere una vetrina, dove si propongono libri di calcio. Leggere un libro è uno dei piaceri della vita. Leggendo un libro, si possono imparare tante cose, scoprire tante notizie. Con le nostre recensioni speriamo di segnalarvi i libri più graditi e soprattutto meritevoli di essere letti. Buona lettura.
Concepito come un raccoglitore di informazioni e curiosità dei primi 20 anni di vita del calcio in Italia, il libro per la prima volta in maniera completa analizza e racconta la nascita e l'affermarsi del gioco del calcio in Italia, ricostruendo le vicende che hanno portato alla creazione del campionato e le partite che ne hanno caratterizzato lo svolgimento sino alla prima guerra mondiale, dando ampio spazio ai giornali dell'epoca.
Come in un viaggio avvincente alla scoperta delle nostre radici, il volume spazia dalla nascita delle squadre più importanti dell'epoca alle prime partite giocate, passando attraverso la nascita della Federazione, del campionato e della Nazionale. C'è inoltre spazio anche per l'esperienza calcistica in Sardegna, dove il football della Federazione non arrivò ma dove ugualmente l'amore di dirigenti e pubblico fece nascere e progredire il gioco.
Ancora, trovano ampio spazio le prime polemiche, i primi scandali legati al mondo del professionismo e le prime violenze dei tifosi, perchè, sin da subito, il football è stato elemento aggregante e disgregante e, tolta l'Inghilterra, in nessun altro paese europeo la sua ascesa come fenomeno sociale è stata così repentina.
LA RIVISTA
Per un amante del calcio, avvicinarsi a Il football dei pionieri. Storia del campionato di calcio in Italia dalle origini alla I guerra mondiale, è un po’ come per un orso, avvicinarsi al miele. L’inconscia paura è che il nettare svanisca troppo in fretta.
Per questo, ho tentato, almeno all’inizio, di nutrirmi di tale prelibatezza con parsimonia. Un poco alla volta, per non finire subito il vasetto di miele. Impresa proibitiva. Quando inizi, senti l’istinto irrefrenabile di proseguire, perché tanta è la curiosità di capire, di conoscere, di sapere.
Questo libro non parla solo di calcio. Ovvero, se l’obiettivo dell’autore è quello di narrare la nascita dello sport più amato in Italia, dagli albori sino alla I Guerra Mondiale, in realtà, Alessandro Bassi, va ben oltre il proposito iniziale. Questo libro racconta uno spaccato di vita, uno spaccato di società, di Italia. Non solo calcio, ma usi, costumi, abitudini di un Paese, tra la fine del ventesimo secolo e l’inizio del ventunesimo.
Il calcio, riflette, né più né meno quella che è l’immagine del tempo vissuto da una società. Ecco quindi, che in un periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia, anche il calcio evidenzia una forte sperequazione tra nord e sud. Due mondi, a quel tempo, più lontani di quelle che erano le reali distanze in termini logistici. Contrasti e divergenze che, se da un lato si sono attenuati col passare del tempo, dall’altro hanno mantenuto connotati che ancora oggi contraddistinguono l’Italia. Se è vero che il calcio è nato e si è sviluppato nella zona Liguria/Piemonte/Lombardia e, diversi anni dopo, è giunto a coinvolgere il centro-sud del Paese, è altrettanto vero che, a oltre cento anni di distanza, in termini assoluti, poco è cambiato da allora. Basta andare a vedere quanti titoli del massimo campionato hanno vinto le squadre del centro sud e quelle del nord. Basta andare a vedere quali sono le forze e le risorse economiche in campo, oggi come allora.
Interessante è il fenomeno sociale del calcio, nato come sport elitario, ma presto capace di coinvolgere il vulgus e di creare senso di appartenenza. Uno sport che si è modificato sin dai primi anni, sino ad arrivare a quello che è il gioco di oggi. Uno sport che agli inizi ebbe un po’ di difficoltà a fare presa sulla gente, ma che poi, crebbe in maniera esponenziale. Ecco che Alessandro Bassi, nel suo libro, narra come già a quei tempi ci fossero schermaglie, risse in campo e fuori e come, già nei primi anni del secolo scorso, polemiche e discussioni sugli arbitraggi fossero all’ordine del giorno. Passa il tempo, ma nulla cambia, semmai si evolve, in maniera deleteria.
La prima sfida ufficiale tra due squadre di città diverse, si giocò nel 1898 a Ponte Carrega (GE) tra una selezione mista di giocatori del F.C. Torinese e dell’Internazionale di Torino e il Genoa. La partita si disputò dinanzi a 154 spettatori, per un ricavo di 64 lire e 45 centesimi. Questi erano i primi incassi. Certo che paragonati alle cifre che girano oggi nel mondo del calcio….c’è da rabbrividire!!! E’ vero che allora i giocatori erano dilettanti e quindi non percepivano compensi, ma il paragone è significativo della mutazione ed evoluzione dei tempi.
Agli inizi, anche i giornali davano spazio ridotto allo sport nascituro: una pagina ogni quindici giorni. Se pensiamo al proliferare di giornali e testate sportive on line dei giorni nostri…
Questo libro racconta con minuzia e dovizia di particolari l’evoluzione di un Paese. Il calcio ne è la guida trainante, ma non l’unica. Un libro adatto e consigliato a tutti coloro che sono curiosi di scoprire come vivevano i nostri avi nell’immediato ante I guerra mondiale.
E, come si suol dire, ora aspettiamo il seguito…
La palla ripassa ad Alessandro dunque…..
Enrico Danna
Per questo, ho tentato, almeno all’inizio, di nutrirmi di tale prelibatezza con parsimonia. Un poco alla volta, per non finire subito il vasetto di miele. Impresa proibitiva. Quando inizi, senti l’istinto irrefrenabile di proseguire, perché tanta è la curiosità di capire, di conoscere, di sapere.
Questo libro non parla solo di calcio. Ovvero, se l’obiettivo dell’autore è quello di narrare la nascita dello sport più amato in Italia, dagli albori sino alla I Guerra Mondiale, in realtà, Alessandro Bassi, va ben oltre il proposito iniziale. Questo libro racconta uno spaccato di vita, uno spaccato di società, di Italia. Non solo calcio, ma usi, costumi, abitudini di un Paese, tra la fine del ventesimo secolo e l’inizio del ventunesimo.
Il calcio, riflette, né più né meno quella che è l’immagine del tempo vissuto da una società. Ecco quindi, che in un periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia, anche il calcio evidenzia una forte sperequazione tra nord e sud. Due mondi, a quel tempo, più lontani di quelle che erano le reali distanze in termini logistici. Contrasti e divergenze che, se da un lato si sono attenuati col passare del tempo, dall’altro hanno mantenuto connotati che ancora oggi contraddistinguono l’Italia. Se è vero che il calcio è nato e si è sviluppato nella zona Liguria/Piemonte/Lombardia e, diversi anni dopo, è giunto a coinvolgere il centro-sud del Paese, è altrettanto vero che, a oltre cento anni di distanza, in termini assoluti, poco è cambiato da allora. Basta andare a vedere quanti titoli del massimo campionato hanno vinto le squadre del centro sud e quelle del nord. Basta andare a vedere quali sono le forze e le risorse economiche in campo, oggi come allora.
Interessante è il fenomeno sociale del calcio, nato come sport elitario, ma presto capace di coinvolgere il vulgus e di creare senso di appartenenza. Uno sport che si è modificato sin dai primi anni, sino ad arrivare a quello che è il gioco di oggi. Uno sport che agli inizi ebbe un po’ di difficoltà a fare presa sulla gente, ma che poi, crebbe in maniera esponenziale. Ecco che Alessandro Bassi, nel suo libro, narra come già a quei tempi ci fossero schermaglie, risse in campo e fuori e come, già nei primi anni del secolo scorso, polemiche e discussioni sugli arbitraggi fossero all’ordine del giorno. Passa il tempo, ma nulla cambia, semmai si evolve, in maniera deleteria.
La prima sfida ufficiale tra due squadre di città diverse, si giocò nel 1898 a Ponte Carrega (GE) tra una selezione mista di giocatori del F.C. Torinese e dell’Internazionale di Torino e il Genoa. La partita si disputò dinanzi a 154 spettatori, per un ricavo di 64 lire e 45 centesimi. Questi erano i primi incassi. Certo che paragonati alle cifre che girano oggi nel mondo del calcio….c’è da rabbrividire!!! E’ vero che allora i giocatori erano dilettanti e quindi non percepivano compensi, ma il paragone è significativo della mutazione ed evoluzione dei tempi.
Agli inizi, anche i giornali davano spazio ridotto allo sport nascituro: una pagina ogni quindici giorni. Se pensiamo al proliferare di giornali e testate sportive on line dei giorni nostri…
Questo libro racconta con minuzia e dovizia di particolari l’evoluzione di un Paese. Il calcio ne è la guida trainante, ma non l’unica. Un libro adatto e consigliato a tutti coloro che sono curiosi di scoprire come vivevano i nostri avi nell’immediato ante I guerra mondiale.
E, come si suol dire, ora aspettiamo il seguito…
La palla ripassa ad Alessandro dunque…..
Enrico Danna
CALCIOMERCATO.COM
Il foot-ball italiano prima del campionato a girone unico (stagione 1929-30), raccontato come quello di oggi - con cronache, aneddoti, risultati completi - ma senza le controindicazioni che avvelenano il calcio moderno. Un sogno di carta, quel calcio antico, che somiglia al rugby, perché è da una sua costola che è “nato”, nell’Inghilterra della Rivoluzione Industriale. Dal celebre “quadrilatero” Genova-Milano-Torino-Vercelli, dove tutto è cominciato, al campionato della Grande Guerra. Dalle “Bianche casacche” della Pro Vercelli a quelle della prima nazionale italiana, solo in seguito azzurra. Per la prima volta in un unico volume edito da Bradipolibri Editore Alessandro Bassi ci narra tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato i primi 20 anni di vita calcistica in Italia, con resoconti completi delle partite più importanti e la cronaca di tutta l'attività della Federazione volta a dotare il calcio italiano di norme utili a regolamentare un movimento che si andava ad ingrossare sempre più. Il calcio dei pionieri rivisitato attraverso i resoconti e i giornali di un’epoca, e un’Italia, che aveva ancora voglia di credere in qualcosa. Con prefazione del Dr. Fino Fini, Direttore del Museo del Calcio di Coverciano.
Intervista sul n. 5 di aprile 2013 di Radio Samp Fanzine
IL CALCIATORE
Numero 2 marzo 2013 dell'Organo mensile dell'Associazione Italiana Calciatori
Intervista rilasciata a SportStory.it
Si dice “historia magistra vitae” ed è un’affermazione che vale per tutto ciò che ci circonda, anche per il calcio. Alessandro Bassi, autore del libro “Il football dei pionieri” e pubblicato da Bradipo libri, racconta la sua fatica letteraria in questa intervista andando oltre il passato e puntando lo sguardo verso il futuro.
Nel tuo libro “Il football dei pionieri” ripercorri le origini del calcio italiano. Da cosa nasce questo desiderio di ricerca culminato nel libro?
Principalmente dal desiderio di riempire un vuoto. Nessuno aveva mai concentrato l’attenzione su quel determinato periodo, lo si era sempre trattato velocemente e superficialmente. La cosa mi ha sempre stupito e ad un certo punto ho deciso di dedicarmici io, con il mio libro. Ed ho tentato di ricostruire quel mondo attraverso le pagine dei giornali dell’epoca anche e soprattutto per trasmettere ai lettori di oggi la passione e la voglia di futuro che muoveva quei pionieri: giocatori, dirigenti, giornalisti tutti uniti nella “missione” di migliorare il gioco del calcio e di farlo penetrare il più possibile nella società.
Dalle origini alla prima guerra mondiale è la fase embrionale del mondo del pallone in Italia, quando c’è stata la vera esplosione?
La prima, vera, tangibile esplosione del gioco del calcio in Italia si ha con gli anni ’20, nel primo dopoguerra: gli stadi si riempiono, gli articoli sui giornali aumentano, le strutture normative diventano più puntuali e cambia la percezione – e quindi lo “status” – dei calciatori. Aggiungo però che già agli inizi degli anni ’10 il calcio in Italia va incontro ad un primo passaggio importante, quando cioè, da un lato esce dalla nicchia ed inizia ad avere sempre più spazio sui media e dall’altro si scrolla di dosso certi retaggi del mondo ginnastico per diventare compiutamente calcistico. Per dare un riferimento cronologico, nel 1909 la Federazione emana il primo regolamento organico del gioco del calcio e nello stesso anno il quotidiano più importante ed autorevole (non sportivo) il Corriere della Sera dedica un’intera pagina dell’edizione del lunedì al calcio. Sembra niente, ma è rivelatore di quanta strada abbia già percorso il calcio in Italia in poco più di una decina d’anni di attività.
Nel nostro Paese le evoluzioni tecniche e tattiche sono arrivate grazie ad allenatori stranieri, da Garbutt a Weisz, nel corso degli anni si è confermata questa tradizione degli esordi?
Garbutt già nel periodo ante guerra introduce in Italia tecniche di allenamento che fanno scalpore, è innovatore non solo quindi a livello tattico. E’ abituato ai metodi imparati dai lunghi anni trascorsi da calciatore nella First Division inglese. In linea di massima lo studio della tattica appassionava più all’estero che non in Italia, da noi soprattutto sino agli anni ’20 si giocava in maniera “ruspante”, senza discostarsi dall’impostazione mutuata dai racconti dei numerosi inglesi, che lavoravano e giocavano da noi, sulla “piramide di Cambridge”, il famoso 2-3-5. Però non dimentichiamoci di Vittorio Pozzo che grazie alle sue innumerevoli amicizie entrò in contatto con le migliori menti calcistiche europee del suo tempo. Di Pozzo spesso ci si ricorda soltanto dei suoi successi come allenatore della Nazionale negli anni ’30, ma fu – oltre che brillante giornalista – ottimo dirigente e “padre” di alcune riforme molto avanti per i tempi. Basti dire che già nel 1912 lui teorizzava la partecipazione alla massima serie sulla base di meriti sportivi congiunti a fattori economici e di bacino d’utenza.
Le istituzioni e la dirigenza della Federazione che ruolo aveva in passato? Si può fare un confronto con quello che ha ora?
Nel periodo anteguerra esisteva solo la Federazione, non c’era la Lega, per dire. La Federazione decideva tutto: dal format dei campionati alle squalifiche, dagli arbitri alle normative. Era decisionista, come si addiceva ad un Ente di quel periodo. Quindi un confronto con quella attuale è impensabile: oggi all’interno della galassia calcistica italiana vi sono numerose componenti – arbitri, calcatori, Lega, per dirne alcune – che all’epoca non esistevano e che quindi rendono impossibile un confronto.
Il calcio italiano oggi vive un momento di stasi. C’è stato in passato un periodo simile e quali sono gli elementi che hanno lanciato verso la resurrezione?
Più che stasi parlerei di letargo. Un “lungo sonno” che infesta quasi tutti i settori della vita italiana, non solo il calcio. In fondo il calcio italiano di oggi è figlio del suo tempo e della sua patria. Avremmo bisogno di dirigenti illuminati, di una Lega Calcio che ritorni finalmente a “fare calcio” e una Federazione che ritornasse a “fare politica” calcistica di alto livello e se poi questi due soggetti si parlassero e si confrontassero su idee, sogni e progetti sarebbe l’ideale. Credo che la “resurrezione” sia possibile soltanto avendo grandi sogni e grandi progetti. Manca del tutto la progettualità nel nostro calcio. Prendi la Serie A: ha 20 squadre, ma non vi è mai stata una riforma “ragionata” per arrivare a quel numero, ci si è arrivati in forza di una sentenza del Tar. Al netto di ogni valutazione nel merito di quella sentenza e del perché ci si è arrivati – che non mi interessa – manca un soggetto forte che metta sul tavolo una proposta altrettanto forte di riorganizzazione che certamente nel breve periodo andrebbe a danneggiare economicamente alcune realtà, ma nel medio-lungo periodo sarebbe senz’altro di giovamento per l’intero movimento. Banalmente: una serie A a 16 squadre permetterebbe alla Nazionale di avere più tempo, si eviterebbero turni infrasettimanali e non servirebbe iniziare a metà agosto.
Uno storico del calcio come vede l’evoluzione tecnologica nel calcio? E’ possibile e doverosa per crescere?
Sì. In fin dei conti “storia” è studiare come si è evoluto un determinato ambito sociale. Storia ed evoluzione sono strettamente legati. Nello specifico studiare la storia del calcio significa studiarne anche l’evoluzione tecnologica: banalmente il pallone che oggi usa Balotelli non è certo paragonabile a quello che utilizzava cento anni fa Rampini. La ricerca tecnologica nel calcio – come in ogni settore umano – è necessaria perseguirla per migliorare, stando attenti a non dimenticare però tutto ciò che è stato fatto nel passato: il giusto mix di innovazione e tradizione penso sia alla base di ogni successo.
di Fabiola Rieti
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Si dice “historia magistra vitae” ed è un’affermazione che vale per tutto ciò che ci circonda, anche per il calcio. Alessandro Bassi, autore del libro “Il football dei pionieri” e pubblicato da Bradipo libri, racconta la sua fatica letteraria in questa intervista andando oltre il passato e puntando lo sguardo verso il futuro.
Nel tuo libro “Il football dei pionieri” ripercorri le origini del calcio italiano. Da cosa nasce questo desiderio di ricerca culminato nel libro?
Principalmente dal desiderio di riempire un vuoto. Nessuno aveva mai concentrato l’attenzione su quel determinato periodo, lo si era sempre trattato velocemente e superficialmente. La cosa mi ha sempre stupito e ad un certo punto ho deciso di dedicarmici io, con il mio libro. Ed ho tentato di ricostruire quel mondo attraverso le pagine dei giornali dell’epoca anche e soprattutto per trasmettere ai lettori di oggi la passione e la voglia di futuro che muoveva quei pionieri: giocatori, dirigenti, giornalisti tutti uniti nella “missione” di migliorare il gioco del calcio e di farlo penetrare il più possibile nella società.
Dalle origini alla prima guerra mondiale è la fase embrionale del mondo del pallone in Italia, quando c’è stata la vera esplosione?
La prima, vera, tangibile esplosione del gioco del calcio in Italia si ha con gli anni ’20, nel primo dopoguerra: gli stadi si riempiono, gli articoli sui giornali aumentano, le strutture normative diventano più puntuali e cambia la percezione – e quindi lo “status” – dei calciatori. Aggiungo però che già agli inizi degli anni ’10 il calcio in Italia va incontro ad un primo passaggio importante, quando cioè, da un lato esce dalla nicchia ed inizia ad avere sempre più spazio sui media e dall’altro si scrolla di dosso certi retaggi del mondo ginnastico per diventare compiutamente calcistico. Per dare un riferimento cronologico, nel 1909 la Federazione emana il primo regolamento organico del gioco del calcio e nello stesso anno il quotidiano più importante ed autorevole (non sportivo) il Corriere della Sera dedica un’intera pagina dell’edizione del lunedì al calcio. Sembra niente, ma è rivelatore di quanta strada abbia già percorso il calcio in Italia in poco più di una decina d’anni di attività.
Nel nostro Paese le evoluzioni tecniche e tattiche sono arrivate grazie ad allenatori stranieri, da Garbutt a Weisz, nel corso degli anni si è confermata questa tradizione degli esordi?
Garbutt già nel periodo ante guerra introduce in Italia tecniche di allenamento che fanno scalpore, è innovatore non solo quindi a livello tattico. E’ abituato ai metodi imparati dai lunghi anni trascorsi da calciatore nella First Division inglese. In linea di massima lo studio della tattica appassionava più all’estero che non in Italia, da noi soprattutto sino agli anni ’20 si giocava in maniera “ruspante”, senza discostarsi dall’impostazione mutuata dai racconti dei numerosi inglesi, che lavoravano e giocavano da noi, sulla “piramide di Cambridge”, il famoso 2-3-5. Però non dimentichiamoci di Vittorio Pozzo che grazie alle sue innumerevoli amicizie entrò in contatto con le migliori menti calcistiche europee del suo tempo. Di Pozzo spesso ci si ricorda soltanto dei suoi successi come allenatore della Nazionale negli anni ’30, ma fu – oltre che brillante giornalista – ottimo dirigente e “padre” di alcune riforme molto avanti per i tempi. Basti dire che già nel 1912 lui teorizzava la partecipazione alla massima serie sulla base di meriti sportivi congiunti a fattori economici e di bacino d’utenza.
Le istituzioni e la dirigenza della Federazione che ruolo aveva in passato? Si può fare un confronto con quello che ha ora?
Nel periodo anteguerra esisteva solo la Federazione, non c’era la Lega, per dire. La Federazione decideva tutto: dal format dei campionati alle squalifiche, dagli arbitri alle normative. Era decisionista, come si addiceva ad un Ente di quel periodo. Quindi un confronto con quella attuale è impensabile: oggi all’interno della galassia calcistica italiana vi sono numerose componenti – arbitri, calcatori, Lega, per dirne alcune – che all’epoca non esistevano e che quindi rendono impossibile un confronto.
Il calcio italiano oggi vive un momento di stasi. C’è stato in passato un periodo simile e quali sono gli elementi che hanno lanciato verso la resurrezione?
Più che stasi parlerei di letargo. Un “lungo sonno” che infesta quasi tutti i settori della vita italiana, non solo il calcio. In fondo il calcio italiano di oggi è figlio del suo tempo e della sua patria. Avremmo bisogno di dirigenti illuminati, di una Lega Calcio che ritorni finalmente a “fare calcio” e una Federazione che ritornasse a “fare politica” calcistica di alto livello e se poi questi due soggetti si parlassero e si confrontassero su idee, sogni e progetti sarebbe l’ideale. Credo che la “resurrezione” sia possibile soltanto avendo grandi sogni e grandi progetti. Manca del tutto la progettualità nel nostro calcio. Prendi la Serie A: ha 20 squadre, ma non vi è mai stata una riforma “ragionata” per arrivare a quel numero, ci si è arrivati in forza di una sentenza del Tar. Al netto di ogni valutazione nel merito di quella sentenza e del perché ci si è arrivati – che non mi interessa – manca un soggetto forte che metta sul tavolo una proposta altrettanto forte di riorganizzazione che certamente nel breve periodo andrebbe a danneggiare economicamente alcune realtà, ma nel medio-lungo periodo sarebbe senz’altro di giovamento per l’intero movimento. Banalmente: una serie A a 16 squadre permetterebbe alla Nazionale di avere più tempo, si eviterebbero turni infrasettimanali e non servirebbe iniziare a metà agosto.
Uno storico del calcio come vede l’evoluzione tecnologica nel calcio? E’ possibile e doverosa per crescere?
Sì. In fin dei conti “storia” è studiare come si è evoluto un determinato ambito sociale. Storia ed evoluzione sono strettamente legati. Nello specifico studiare la storia del calcio significa studiarne anche l’evoluzione tecnologica: banalmente il pallone che oggi usa Balotelli non è certo paragonabile a quello che utilizzava cento anni fa Rampini. La ricerca tecnologica nel calcio – come in ogni settore umano – è necessaria perseguirla per migliorare, stando attenti a non dimenticare però tutto ciò che è stato fatto nel passato: il giusto mix di innovazione e tradizione penso sia alla base di ogni successo.
di Fabiola Rieti
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